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Cucina napoletana, quando cucinare è “arte”

| Mattia Serrone |
La Cucina napoletana

La memoria del cibo è strettamente legata dai nostri ricordi personali racchiusi nella nostra mente, in una rete emozionale. Molto spesso capita che questi ricordi vengano tramandati a tal punto, da diventare parte integrante della tradizione.

Un viaggio nel passato

Bartolomeo Bimbi, Pere di giugno e di luglio, del 1699

La memoria della gastronomia napoletana la riscontriamo in molteplici affreschi situati nei maestosi musei a ciel aperto di Pompei, Ercolano, ma anche nei musei del centro storico di Napoli. I frutti sono i principali protagonisti di queste opere, ricordiamo infatti, l’opera di Bartolomeo Bimbi, Pere di giugno e di luglio, del 1699, o Carlo Manieri detto Maestro della Floridiana, nel Trionfo di fichi adagiati su un velluto rosso cardinalizio che ricorda quello del cardinale Pietro Bembo. Ma se la frutta indebolisce l’investigatore, la fauna ittica mediterranea, gli infonda forza. Lo si deve proprio all’opera di Giuseppe Recco e Giovan Battista nell’affresco Pesci e Ostriche, dove Orate, sgombri, tonnetti, aragoste, polpi, tartarughe e calamari, sono i protagonisti.

Presepe di Michele Cuciniello

È doveroso raccontare lo stretto legame tra artefatti e cucina, come quello ancor oggi presente che si ha nel presepe, in particola modo il presepe di Michele Cuciniello, situato nel Museo di San Martino. Esso venne definito la perfetta dimostrazione dell’abbondanza che fosse presente all’epoca, descritto poi anche da Leandro Fernandez Moratìn, come una sorta di estetizzazione del mercato, e di sacralizzazione del cibo (Moro & Niola, 2017). Questo trionfo di gola, elogia tutte le leccornie dell’epoca, consumate principalmente nei giorni di festa. Ancora oggi evincono delle correlazioni con le usanze odierne, infatti è solito constatare nelle famiglie napoletane, seppur di dimensioni e grammature elevate, di consumare o pezzullo e baccalà, proprio perché all’epoca era di diritto-dovere, consumare “uno di tutto”.

Una città vista mare

Una città vista amare con annessa la possibilità di fare una passeggiata gastronomica adatta a tutte le tasche. Pizze, spaghetti ai frutti di mare, zeppole di alghe fritte, alici, verdure ripiene, insieme a friarielli, zucchine, carciofi, fiori di zucca, che in mano ai napoletani, diventa quasi il piatto principale, anziché un semplice contorno. Per capire questa città bisogna muoversi a piedi ed ammirarla, vicolo dopo vicolo. Gli stessi Oscar Wilde, Matilde Serao, Gabriele D’annunzio erano soliti sostare nello scintillo liberty del Gambrinus (Moro & Niola, 2017). Ma non si può dire di conoscere la città se non si fa un’incursione nei Quartieri Spagnoli, dove ancora oggi si può percepire il profumo del ragù dominicale che pippea, un piatto tipicamente festivo, preparato nelle piccole abitazioni a piano terra, noti con il termine napoletano di “o vascio” preparato dalle famiglie proletarie. È obbligatorio citare una delle poesie più note al riguardo, ovvero quella di Eduardo de Filippo:     

 ‘O rraù ca me piace a me                                Il ragù che piace a me

 m’ ‘o ffaceva sulo mammà.                              Me lo cucinava solo mia madre

 A che m’aggio spusato a te                              Da che ti ho sposata

ne parlammo pè ne parlà                                  Ne parliamo tanto per fare una cosa. Questo ci permette di capire quanto il senso della vita stessa girasse intorno al cibo. Se il ragù rappresenta l’inizio delle danze a tavola, il caffè incarna invece quella che è la fine, rigorosamente a tavola, in quella convivialità tanto decantata, condividendo momenti e stringendo ancor di più legami. A Napoli sulla via del caffè sospeso, ovvero l’antica usanza di consumare un espresso e pagarne due, lasciando il secondo a disposizione dei meno fortunati, nasce il modello di pizza sospesa, proprio perché il caffè come la pizza, non si nega a nessuno. Caffè e pizza napoletana sono i fondamenti del fenomeno dello street food napoletano, un sinonimo di socialità e solidarietà, storia e genialità gastronomica.

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Mattia Serrone