Museo e Certosa di San Martino
Da nessun punto della città sfugge allo sguardo, imponente e meraviglioso punto di riferimento per capire in un colpo d’occhio dove ci si trova senza dover leggere la toponomastica. La Certosa di san Martino è il faro di terra di Napoli.
C’era una vola solo una collina verde sulla parte alta della città dove intorno sorgerà quartiere Vomero e, nel 1325, da Siena fu convocato dalla Corte Angioina a Napoli l’architetto e scultore Tino di Camaino, già famoso per aver realizzato il Duomo di Pisa. Alla sua morte la certosa era solo in parte stata realizzata da Tino e l’incarico passò all’architetto Attanasio Primario. Dell’impianto originario restano i grandiosi sotterranei gotici, opera d’ingegneria possente indispensabile per sostenere l’edificio lungo le pendici scoscese della collina.
La Trasformazione Barocca della Certosa
Nel 1581, l’aspetto gotico previsto dagli architetti di Camaino e Primario lasciava il posto alla raffinata veste barocca di oggi. Il grandioso progetto di cambiamento della Certosa è affidato all’architetto Giovanni Antonio Dosio. Il Chiostro Grande per il crescente numero dei monaci subisce una radicale ristrutturazione e un ampliamento: si realizzarono nuove celle, si rivede l’intero sistema idrico. Il promotore di questa nuova e spettacolare veste della Certosa di San Martino è il priore Severo Turboli, in carica dall’ultimo ventennio del Cinquecento fino al 1607. I lavori avviati sotto la direzione di Dosio, vengono proseguiti da Giovan Giacomo di Conforto, che realizzerà la monumentale cisterna del chiostro.
I sotterranei gotici – risulta verosimile l’ipotesi che il progetto di Tino di Camaino, abbia inglobato preesistenti strutture di tipo difensivo dell’antico castello di Belforte – costituiscono i suggestivi e imponenti ambienti delle fondamenta trecentesche della Certosa. Si può ammirare una successione di pilastri e volte ogivali a sostegno dell’intera struttura certosina. I lunghi corridoi e gli slarghi ospitano le opere in marmo della Sezione di sculture ed epigrafi: circa centocinquanta opere in marmo, distribuite nei vari ambienti, partendo dal medioevo fino al XVIII secolo.
I sotterranei custodiscono un capolavoro del Settecento: l’imponente scultura di San Francesco d’Assisi (1785-1788 circa) di Giuseppe Sanmartino e un’Allegoria velata scolpita probabilmente dal suo allievo Angelo Viva, che evoca le celebri sculture della Cappella Sansevero.
Il 6 settembre 1623 segna un’altra importante tappa nella trasformazione della certosa. Comincia, infatti, la collaborazione con l’architetto Cosimo Fanzago che andrà avanti fino al 1656. Fanzago ha lasciato il segno inconfondibile della sua prepotente personalità in ogni luogo del monastero, pur rispettando e proseguendo, il progetto di ampliamento del monastero e di ammodernamento degli spazi monumentali avviato dai suoi predecessori. L’opera di Fanzago si caratterizza per una straordinaria attività decorativa. La carenza di marmi a Napoli comportò la continua importazione di marmi antichi di scavo da Roma, bianchi da Carrara, bardigli e broccatelli dalla Spagna, neri dal Belgio, breccia dalla Francia. San Martino diviene, negli anni ’20 e ’30 del Seicento, un luogo di eccellenza della sperimentazione dell’ornato dell’epoca. Tutta la decorazione della chiesa ne è un esempio, con gli splendidi rosoni di bardiglio che ornano i pilastri della navata, tutti diversi tra loro o gli intarsi marmorei delle lesene e i putti in chiave degli arconi delle cappelle.
Anche i lavori della facciata della chiesa, avviati nel 1616 da Tommaso Gaudioso si svolgono sotto la guida di Fanzago, che elabora soluzioni architettoniche che preservano le strutture trecentesche, rivestite esternamente di marmi.
La Storia della Certosa nel XIX e XX Secolo
Il complesso subisce danni durante la rivoluzione del 1799 ed è occupato dai francesi. Il re, inizialmente, ordina la soppressione per i certosini sospettati di simpatie repubblicane, ma alla fine acconsente alla loro reintegrazione. I monaci rientrano a San Martino nel 1804, ma la lasciano nuovamente nel 1812, quando il complesso viene occupato dai militari come Casa degli Invalidi di Guerra. Nel 1836 un esiguo gruppo di monaci torna a stabilirsi a San Martino per riuscirne, poi, definitivamente. Soppressi gli Ordini religiosi e divenuta proprietà dello Stato, la Certosa viene destinata nel 1866 a museo per volontà di Giuseppe Fiorelli, annessa al Museo Nazionale come sezione staccata ed aperta al pubblico nel 1867.
La Ricchezza delle Collezioni del Museo di San Martino
Il Museo di San Martino custodisce tesori inestimabili della storia artistica italiana e di Napoli. Inaugurata nella primavera del 2005, dopo complessi lavori di restauro la ‘Farmacopea’ o ‘Spezieria’ della Certosa è il luogo dove si somministravano le cure mediche alla comunità conventuale e al pubblico esterno. Nella volta della Farmacia, Paolo De Matteis eseguì, nel 1699, l’affresco con San Bruno che intercede presso la Vergine per l’umanità inferma.
Nella Sezione Navale si trovano vari modelli di imbarcazioni reali: due corazzate, la Corazzata Re Umberto e la Corazzata Regina Margherita, un’elegante Lancia reale ed un Lancione a ventiquattro remi che Napoli donò a re Carlo di Borbone. Inoltre vi è il Caicco donato dal sultano turco Selim III a Ferdinando IV di Borbone, databile alla seconda metà del XVIII secolo.
Nella Sala delle carrozze reali c’è la carrozza degli Eletti, la più antica della Città realizzata tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo per volere del Tribunale di San Lorenzo per trasportare gli Eletti della Città. Essa riveste un ruolo molto importante e emblematico per il popolo partenopeo in quanto è stata impiegata nelle più significative parate di Napoli, tra cui quella di Piedigrotta e la Processione del Corpus Domini. Altro pezzo forte la carrozza di Maria Cristina di Savoia, realizzata nel 1806 per Ferdinando I di Borbone, ma fu quasi certamente utilizzata anche da Gioacchino Murat nel periodo 1808-1815, quando fu nominato reggente del Regno di Napoli. Dopo la sua morte fu impiegata dal re Ferdinando II delle Due Sicilie e dalla sua prima moglie, Maria Cristina di Savoia, per partecipare alle feste civili e religiose.
Nella Sezione presepiale si trova il famoso Presepe Cuciniello, così chiamato dal nome del donatore che nel 1879 regalò al museo la sua monumentale raccolta di pastori, animali, agnelli, nature morte. Sono presenti anche altri gruppi presepiali, con scene fondamentali della Natività, dell’Annunciazione ai pastori e dell’Osteria, conservati nei loro originali contenitori: gli scarabattoli
Nella sala dell’appartamento del priore sono presenti preziosi affreschi, cineserie, pavimenti maiolicati settecenteschi e la galleria di dipinti del XVII secolo e XVIII con opere di Pacecco De Rosa, Andrea Vaccaro, Battistello Caracciolo, Artemisia Gentileschi, Micco Spadaro e Massimo Stanzione. Presente anche una raccolta di armi bianche e da fuoco, tra cui un cannone cinese del XVII secolo chiamato il Maresciallo dai miracolosi risultati.
Nucleo fondamentale del museo è la sezione storica che annovera testimonianze della storia politica, economica e sociale del Regno di Napoli attraverso dipinti, sculture, arredi, medaglie, miniature, onorificenze, armi e cimeli vari. Una delle più importanti testimonianze storiche sull’evoluzione topografica di Napoli è data dalla celeberrima Tavola Strozzi, quasi una fotografia della città nella metà del Quattrocento. Qui ci sono anche importanti pitture di vedute e siti reali; ritratti dei Borbone, documenti, monete, armi e dipinti di Filippo Spadai e Salvatore Fergola, tra cui la grande tela dell’Inaugurazione della ferrovia Napoli – Portici, nonché ricordi del 1848, con ritratti di Papa Pio IX e di personaggi del Risorgimento. Vi sono interessanti dipinti: di Micco Spadaro, l’Uccisione di Giuseppe Carafa del 1647; di Carlo Coppola, piazza del Mercato; di Micco Spadaro, La peste del 1656 ed il Largo del Mercatello; di ignoto invece Il tribunale della Vicaria al tempo di Masaniello e Piazza del Carmine. Un’intera sala è dedicata a Carlo di Borbone, che fu re di Napoli dal 1734 al 1759, poi re di Spagna. Essa contiene una serie di ritratti di Carlo di Borbone e della sua consorte Maria Amalia di Sassonia, tessuti in seta ad opera della manifattura napoletana; un ritratto di Carlo III re di Spagna, copia coeva di quello eseguito dal Goya. In un’altra sala vi sono i ricordi della Repubblica Napoletana del 1799: Ammiraglio Nelson di Leonardo Guzzardo; l’Entrata del Cardinale Ruffo a Napoli di Giovanni Ponticelli.
Nella galleria ottocentesca, sono esposti circa 950 dipinti della scuola di Posillipo, frutto di diverse donazioni che la borghesia napoletana ha effettuato nel corso degli anni, con dipinti di Francesco Netti, Michele Cammarano, Giacinto Gigante, Vincenzo Migliaro, Domenico Morelli, Eduardo Dalbono, Francesco Paolo Michetti, Giuseppe De Nittis e Antonio Mancini. Ancora sono conservati quadri di Frans Vervloet, Gabriele Smargiassi, Anton Sminck van Pitloo, Luigi Fergola, Gaetano e Giacinto Gigante, nonché dipinti della scuola di Resina con opere di Marco De Gregorio e Federico Rossano. Persino, l’arte contemporanea ha trovato spazio a San Martino. Va certamente segnalata quella dei fratelli Paolo e Beniamino Rotondo, che costituirono una collezione formata grazie agli stretti legami con alcuni artisti che frequentavano l’importante circolo culturale promosso dalla Famiglia Rotondo. Infine, sono esposte diverse sculture in terracotta di Vincenzo Gemito, di Giuseppe Renda e Filippo Tagliolini.
Nella Sezione delle arti decorative sono presenti maioliche, porcellane, vetri ed oggetti preziosi. Vi è inoltre esposta la collezione Orilia, comprendente porcellane di Capodimonte, Buen Retiro, Meissen, vetri, tabacchiere, ventagli ed altro, fu donata da Maria Teresa Orilia nel 1953, in ricordo del marito Marcello.
Nella Sezione teatrale si possono trovare quadri, stampe, disegni che si riferiscono al Teatro San Carlino; da notare inoltre è un quadretto che raffigura il Sipario del teatro S.Carlo del 1854, due magnifici plastici del teatro S.Carlino ed una bacheca con piccoli cimeli tra cui i biglietti da visita dei maggiori attori napoletani.
La Sezione Alisio costituisce l’ultima raccolta privata acquisita dal museo. Donata allo Stato da Giancarlo Alisio e dalle sorelle Alma e Giovanna nel 2001, questa è entrata a far parte del polo museale nel 2004, esponendo circa un centinaio (tra dipinti e acquerelli) di pitture vedutiste databili dal XVII al XIX secolo.
La collezione delle stampe e disegni si pone sullo stesso livello di quella del Capodimonte, esponendo circa sedicimila disegni, tra cui quelli di Luigi Vanvitelli, Giacinto Gigante, Antonio Niccolini, numerose scenografie del San Carlo, diversi ritratti di illustri napoletani e storiche stampe topografiche di Napoli.
All’interno del Complesso Museale di San Martino sono conservati tre orologi solari molto antichi, che scandivano il tempo dei certosini e favorivano le attività di preghiera contemplate dalla regola.