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Autore: Rosario Mammella

Rientro tra i banchi: le emozioni, le festività e i rituali degli studenti italiani nel 2023

Il sipario si apre sul nuovo anno scolastico. Questa mattina, con la campanella che ha riecheggiato nelle aule, Emilia Romagna, Lazio e Toscana hanno salutato il ritorno degli studenti. Nonostante alcune modifiche ai calendari regionali, ogni scuola si è assicurata di accogliere i propri alunni entro il 15 settembre, con l’idea di chiudere il sipario scolastico entro l’11 giugno 2024.

Quest’anno, il 2023, si annuncia ricco di interruzioni e momenti di pausa. A partire da Ognissanti, festeggiato tra l’1 e il 2 novembre, fino all’Immacolata, che quest’anno regala un lungo weekend cadendo di venerdì. E per chi si chiedesse delle vacanze natalizie e pasquali? Beh, la maggior parte delle regioni si immergerà nello spirito festivo dal 23 dicembre al 6 gennaio 2024, mentre una breve sosta primaverile si avrà dal 28 marzo al 2 aprile 2024.

Ma non è tutto rose e fiori. Il rientro porta con sé una valanga di emozioni. L’ansia si fa spazio tra 4 studenti su 5, colorati da sfumature di rabbia, desiderio di evasione e frustrazione. Per un terzo di loro, la sfida è riconciliarsi con la routine quotidiana. E mentre il timore di sommergersi nei compiti serpeggia, c’è chi cerca conforto nei rituali: un accessorio “magico”, un vestito considerato fortunato o quel particolare banco, custode di tanti segreti e ricordi.

IT-Alert: l’innovativo sistema di allarme Nazionale per emergenze

L’IT-alert rappresenta l’avanguardia nell’informazione d’emergenza. Una sorta di “avvisatore personale” per chi ha un cellulare, pronto a segnalare situazioni di grave pericolo in una determinata area. Ancora in fase di sperimentazione, il suo obiettivo è ampliare e affiancare i metodi di comunicazione già presenti. Non bisogna pensare all’IT-alert come un’ancora di salvezza, ma piuttosto come un primo campanello d’allarme: una fonte rapida e tempestiva di informazioni cruciali.

IT-Alert, come funziona?

Se ci si trova nell’area di interesse, IT-alert segue lo standard internazionale “Common Alerting Protocol” (CAP), assicurando così una perfetta integrazione con altri sistemi di allarme sia a livello nazionale che internazionale.

Vuoi saperne di più sui rischi specifici in Italia? Visita qui il sito https://rischi.protezionecivile.gov.it/it/ e per conoscere le buone pratiche di protezione civile, a questo link : https://www.iononrischio.gov.it/it/

Quando e perché si attiva?

L’IT-alert non suona per ogni piccolo contrattempo. Seguendo la Direttiva UE 2018/1972 e il Codice delle comunicazioni elettroniche italiano, scatta solo in situazioni gravi o di potenziale catastrofe. Ma, al momento, è in modalità test, con un’attenzione particolare ad eventi specifici e ben definiti.

Eventi monitorati

La fase pilota dell’IT-alert sta affrontando una lista precisa di rischi, come indicato dalla Direttiva del 7 febbraio 2023:

  • Tsunami causati da terremoti
  • Rottura di grandi dighe
  • Eruzioni dei vulcani come Vesuvio e Stromboli
  • Emergenze nucleari e radiologiche
  • Gravi incidenti in specifici stabilimenti industriali
  • Forti precipitazioni

Chi spinge il pulsante?

In questa fase, il Dipartimento della Protezione Civile ha il controllo. Ma presto, secondo la Direttiva del 7 febbraio 2023, anche altre entità potranno usare direttamente il sistema.

Cosa succede in caso di allarme?

Se ci si trova nella zona a rischio, il telefono squillerà con un tono distintivo. Sullo schermo si leggerà “IT-alert”. Durante questa fase di test, viene chiesto anche di rispondere a un questionario: un modo per rendere il servizio ancora migliore.

Limiti da considerare

Ogni nuova tecnologia ha le sue sfide. L’IT-alert non fa eccezione. Gli imprevisti naturali, le incertezze scientifiche, e i limiti tecnologici possono influenzare l’efficacia. Ad esempio, ci sono sfide nella sincronizzazione tra l’area di allerta stimata e la copertura delle antenne telefoniche. Ciò significa che talvolta alcuni dispositivi potrebbero non ricevere l’alert, mentre altri al di fuori dell’area potrebbero farlo.

Ma ricorda, l’IT-alert non è l’unico baluardo contro i rischi. È uno strumento per sensibilizzare e prepararti meglio.

Come funziona il sistema IT-alert

Il servizio IT-alert si posiziona come un pilastro fondamentale nella protezione civile, agendo come uno scudo informatico per i cittadini. Questo strumento pubblico, essenziale in tempi di emergenze gravi o eventi catastrofici, ha il compito di inviare messaggi ai dispositivi presenti nelle zone a rischio. L’obiettivo? Informare tempestivamente le persone, minimizzando così i rischi individuali e di comunità.

L’innovativa tecnologia “cell-broadcast” è alla base del funzionamento di IT-alert. Se immaginiamo la rete mobile come una vasta tela, ogni punto (o cella) può veicolare un messaggio IT-alert a qualsiasi dispositivo acceso e connesso. Questi messaggi hanno la precisione di un chirurgo, perché possono essere direzionati ad un gruppo specifico di celle, delineando l’area effettivamente a rischio.

In situazioni in cui la rete è congestionata o con campo limitato? Nessun problema. Il cell-broadcast  continua a funzionare impeccabilmente.

Tuttavia, ci sono alcune condizioni che potrebbero impedire la ricezione: dispositivi spenti, mancanza totale di campo o suoneria impostata su silenzioso. E, anche se non è necessario avere un’App specifica, è sempre una buona idea controllare le impostazioni del dispositivo, specialmente dopo un backup o se il sistema operativo non è aggiornato.

Come si adatta IT-alert al dispositivo

La percezione di IT-alert è come un camaleonte, adattandosi a modello, sistema operativo e versione in uso. Ma qui c’è la magia: non c’è bisogno di fare nulla per ricevere questi messaggi salvavita. Persino disabilitando la funzione IT-alert nelle impostazioni del dispositivo, i messaggi arrivano lo stesso. Il sistema assicura l’invio utilizzando la massima priorità.

Privacy al primo posto

Chi è preoccupato per la privacy deve sapere che con IT-alert, si può stare tranquilli. Non viene raccolto, archiviato o analizzato alcun dato personale. Grazie al sistema cell-broadcast, gli operatori telefonici inviano messaggi in modo indifferenziato e anonimo, basandosi esclusivamente sulla posizione geografica.

Questo flusso informativo è unidirezionale. In pratica, il Dipartimento della Protezione Civile e gli operatori telefonici inviano messaggi senza ricevere alcun feedback. E c’è una certificazione di sicurezza: il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha dato il suo benestare al sistema IT-alert.

Vuoi saperne di più? Il provvedimento completo è disponibile qui https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9207188

Sperimentazione

Il sistema IT-alert è in rampa di lancio e, per diversi mesi, è stata costruita la base tecnica che collega le CBE ai CBC dei principali operatori telefonici. Grazie a questo, sono stati effettuati vari test tecnici, come quelli visti durante gli eventi “Vulcano 2022” e “Sisma dello Stretto 2022”. Ora, c’è un’attenzione particolare alla sicurezza del sistema, per assicurarsi che tutto funzioni alla perfezione.

Nel 2022, la sperimentazione è diventata pratica, coinvolgendo i cittadini. Uno dei primi test reali è avvenuto sull’isola di Vulcano dove, durante una simulazione, sono stati inviati messaggi alla popolazione per istruirla su come comportarsi in caso di emergenza. In un evento successivo in Calabria e Sicilia, il sistema IT-alert ha mostrato il suo potenziale raggiungendo oltre mezzo milione di persone.

In più, grazie a un questionario online, si è scoperto che il 96% dei 20 mila partecipanti ha ricevuto il messaggio di allarme come previsto.

Da metà 2023, diversi test regionali sono stati programmati in diverse aree d’Italia, e per la fine dell’anno tutti avranno la possibilità di vedere come funziona IT-alert nella loro regione.

L’idea di IT-alert nasce dall’obiettivo di proteggere la vita delle persone in caso di emergenze. Questo concetto è supportato da diverse normative e direttive italiane ed europee, ed è previsto per diventare uno strumento fondamentale per la protezione civile.

Normative

Per chi è interessato ai dettagli legali, ecco alcune delle principali normative e direttive che riguardano IT-alert e la protezione civile:

Allertamento e sistema di allarme pubblico IT – Alert in riferimento alle attività di protezione civile. Testo coordinato della Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 ottobre 2020 con la Direttiva del Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare del 7 febbraio 2023

https://www.protezionecivile.gov.it/it/normativa/it-alert-testo-coordinato-dpcm-del-23-ottobre-2020-e-dm-del-7-febbraio-2023/

Direttiva del Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare del 7 febbraio 2023 – Allertamento di protezione civile e sistema di allarme pubblico IT-Alert

https://www.protezionecivile.gov.it/it/normativa/direttiva-del-7-febbraio-2023/

Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 ottobre 2020 – Allertamento di protezione civile e sistema di allarme pubblico IT-Alert

https://www.protezionecivile.gov.it/it/normativa/direttiva-del-presidente-del-consiglio-dei-ministri-materia-di-allertamento-di-protezione-civile-e-sistema-di-allarme-pubblico-it-alert/

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 giugno 2020. “Modalità e criteri di attivazione e gestione del servizio It- Alert”

https://www.protezionecivile.gov.it/it/normativa/decreto-del-presidente-del-consiglio-dei-ministri-del-19-giugno-2020—modalit–e-criteri-di-attivazione-e-gestione-del-servizio-it–alert-/

Nicola Gratteri nuovo procuratore capo di Napoli: sfida alla ‘ndrangheta e vita sotto scorta

Nicola Gratteri, 65 anni, ha superato ogni previsione, diventando il nuovo Procuratore di Napoli. Già a capo dei pm a Catanzaro, la sua elezione da parte del CSM per presiedere l’ufficio giudiziario partenopeo è una dimostrazione della sua resilienza e capacità. Questa nomina riempie un vuoto lasciato per diciotto mesi da Giovanni Melillo, ora a capo della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Gratteri, con la sua impareggiabile esperienza, ha conquistato 19 voti nel plenum del CSM.

Chi ha votato Gratteri

L’ascesa di Gratteri non è stata priva di sfide. Tuttavia, grazie alla sua inarrestabile determinazione nella lotta alla ‘ndrangheta, ha guadagnato il sostegno di numerose figure chiave. Questo appoggio non è un caso: Gratteri ha costruito una rete solida con procure in tutto il mondo, grazie alla sua profonda esperienza nell’affrontare il crimine organizzato a livello nazionale e oltre. Con oltre 140 criminali arrestati sotto la sua vigilanza, molti dei quali tra i più pericolosi, ha dimostrato il suo impegno e la sua dedizione. Malgrado queste vittorie, alcune voci critiche sono emerse, specialmente da sostenitori di altri candidati.

Solo un anno fa, Gratteri era sull’orlo di diventare il Procuratore Nazionale Antimafia. Ha affrontato la situazione con franchezza, riconoscendo l’influenza delle correnti nel CSM e scegliendo di rimanere distante da quel circolo. Ma ora, la sua resilienza ha dato i suoi frutti, guidando il più grande ufficio inquirente d’Europa.

Chi è realmente Gratteri?

Ripercorrendo la sua carriera, Gratteri ha mostrato un impegno costante nella lotta alla ‘ndrangheta fin dagli anni ’80. Sopravvissuto a tre attentati nel 1993 e scampato a un altro nel 2005, la sua tenacia non ha limiti. Dai primi giorni come sostituto procuratore a Locri, alle sue attuali posizioni di leadership, Gratteri ha dimostrato di essere un faro nella lotta alla criminalità organizzata. E mentre la sua carriera ha avuto alti e bassi, tra cui una proposta mancata come Ministro della Giustizia nel 2014, il suo nome rimane sinonimo di integrità e determinazione nel panorama giudiziario italiano.

Un viaggio nella sua carriera

La storia di Gratteri serve da monito per chi crede che la lotta contro la criminalità sia un compito impossibile. Con coraggio, dedizione e una visione chiara, può emergere la vittoria anche dalle circostanze più avverse. E ora, con Gratteri al timone a Napoli, la città ha tutte le carte in regola per affrontare i suoi più grandi nemici con rinnovata energia e speranza.

Maschio Angioino: storia, fascino e segreti nascosti

Nel cuore pulsante di Napoli, la fortezza del Maschio Angioino o “Castel Nuovo” come alcuni lo chiamano, è un baluardo della storia italiana. Accompagnami in questo viaggio affascinante attraverso i secoli, tra le mura di questo monumento iconico.

Le origini e il periodo Angioino

Il Maschio Angioino, noto anche come Castel Nuovo, rivela una storia ricca e profonda, che affonda le sue radici nel tempo. La costruzione del suo nucleo antico, emerso grazie a recenti lavori di restauro e ricerca archeologica, fu avviata per volere di Carlo I d’Angiò. Nel 1266, dopo aver sconfitto gli Svevi, Carlo salì al trono di Sicilia e decise di spostare la capitale da Palermo a Napoli.

La dominazione di una monarchia straniera aveva orientato l’urbanistica napoletana attorno al fulcro del potere regale. Questo era manifestato dal porto e dai due castelli principali, Castel Capuano e Castel dell’Ovo. Un precedente rapporto tra la corte regale e l’urbanistica era stato instaurato da Federico II nel XIII secolo, che si era focalizzato principalmente sui castelli, trascurando le mura cittadine. Gli Angioini, oltre ai castelli esistenti, aggiunsero il Castel Nuovo, una struttura non solo difensiva ma anche la loro splendida reggia.

Fino a quel momento, la residenza reale di Napoli era stata Castel Capuano. Tuttavia, la fortezza normanna fu considerata inadatta e il re decise di costruire un nuovo castello vicino al mare. L’architetto francese Pierre de Chaule fu incaricato del progetto e nel 1279 iniziarono i lavori per il Castrum Novum. Questi terminarono in soli tre anni, un periodo di tempo incredibilmente breve considerate le tecniche dell’epoca e l’entità del progetto. Tuttavia, a causa della rivolta dei Vespri siciliani e ad altre vicende, il re non vi abitò mai e il castello rimase inutilizzato fino al 1285, anno della sua morte.

Il successore, Carlo II lo Zoppo, si trasferì al Castel Nuovo con la corte, ampliando e abbellendo la struttura. Durante il suo regno, il rapporto con la Santa Sede fu movimentato. Il 13 dicembre 1294, Castel Nuovo fu testimone dell’abdicazione di papa Celestino V e il 24 dicembre dello stesso anno, vi fu eletto papa Bonifacio VIII.

Numerose personalità illustri hanno soggiornato nel castello nel corso degli anni, tra cui Giovanni Boccaccio, Giotto, papa Bonifacio VIII, papa Celestino V e Francesco Petrarca. Sotto Roberto il Saggio, nel 1309, Castel Nuovo divenne un importante centro culturale, ospitando grandi artisti e intellettuali dell’epoca, tra cui Petrarca e Boccaccio, e affrescato dai più grandi pittori, come Giotto.

Nel 1343, il castello divenne la dimora di Giovanna I, che dovette affrontare vari assalti e conflitti. Una leggenda narra che Giovanna avesse nel castello una botola segreta, dove gettava i suoi amanti, destinati a essere divorati da creature marine, tra cui un coccodrillo.

Gli Aragonesi

Con gli Aragonesi, la fortificazione prese un nuovo volto. Sotto la loro guida, il Maschio Angioino fu rinnovato, diventando più maestoso. Le mura furono rafforzate, torri aggiunte, e la sua imponenza rifletteva il potere aragonese. Questi anni furono densi di eventi, dalla politica alle storie d’amore.

Dal primo dopoguerra ad oggi

Il dopoguerra fu un periodo di rinascita per il Maschio Angioino. Dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, il castello si è trasformato in un polo culturale, ospitando eventi, mostre e festival. Oggi, rappresenta non solo il passato di Napoli, ma anche il suo presente vibrante.

Struttura architettonica

La struttura conserva ancora diversi elementi originali della fortezza angioina: tra questi, spicca la Cappella Palatina, accompagnata da specifiche finestre a croce francesi, e parti delle mura e torri originarie.

La pianta del castello si sviluppa in forma irregolarmente trapezoidale. Durante il periodo di dominazione di Alfonso d’Aragona, venne parzialmente ricostruito, e la difesa era affidata principalmente a cinque imponenti torri cilindriche. Di queste, quattro sono rivestite di piperno e una in tufo, culminando con merli su beccatelli. Le tre torri frontali, voltate verso l’interno, sono identificate come “di San Giorgio”, “di Mezzo” – questa tragicamente crollò il 4 agosto 1876 alle 11:30 – e “di Guardia”. Sul versante rivolto verso il mare, invece, troviamo la torre “dell’Oro” e la torre “di Beverello”. Imponente e maestoso, il fossato che circonda il castello contribuisce alla sua aura di inespugnabilità, mentre le torri si erigono su solidi basamenti a scarpata. L’assemblaggio dei blocchi di pietra in questi basamenti evoca intricati disegni, che pare siano ispirati da esempi catalani.

Una peculiarità di queste torri è la cosiddetta “scala catalana” presente all’interno, che conduce direttamente ai tetti del castello. Un tempo, questi erano posti strategici dove le vedette vigilavano per prevenire sorprese da potenziali nemici. Sul lato settentrionale, presso la torre “di Beverello”, emerge una delle caratteristiche finestre crociate della Sala dei Baroni. Due ulteriori finestre di questo tipo adornano il lato orientale: una prospetta il mare, mentre l’altra si apre sulla parete della Cappella Palatina, incastonata tra due esili torri poligonali. La torre angolare, denominata “dell’Oro”, protegge un’estensione dell’edificio che anticamente supportava una loggia, seguita da una sezione arretrata con due logge sovrapposte. Il lato meridionale del castello, rivolto al Molo Beverello, si distingue per un elegante loggiato che si estende lungo la sua interezza.

Museo civico

Il Museo Civico si trova all’interno del complesso monumentale che ha assunto un ruolo fondamentale nel panorama culturale della città. Questo antico edificio, non solo ospita il Museo Civico, ma è anche un emblema della storia architettonica e artistica locale.

Sala dell’Armeria
Collocata alla sinistra della Cappella Palatina e a un livello inferiore rispetto alla sala dei Baroni, questa sala era anticamente utilizzata per conservare armi, da cui deriva il suo nome. Recenti lavori di restauro hanno portato alla luce importanti reperti archeologici datati I secolo a.C. e V secolo, oggi visibili grazie a un pavimento in vetro trasparente che custodisce questi tesori.

Cappella Palatina
Situata sul lato marittimo del castello, la Cappella Palatina, conosciuta anche come chiesa di “San Sebastiano” o di “Santa Barbara”, rappresenta ciò che rimane del castello angioino del XIV secolo. Danneggiata nel terremoto del 1456, ha subito diversi interventi di restauro. La facciata interna è arricchita da un portale rinascimentale con rilievi di Andrea dell’Aquila e Francesco Laurana e un rosone di epoca aragonese realizzato da Matteo Forcimanya. L’interno conserva resti di affreschi di Maso di Banco e altri artisti del XIV secolo, nonché pregevoli sculture rinascimentali. La cappella ospita anche un ciborio di Iacopo della Pila e importanti opere di Domenico Gagini e Francesco Laurana.

Primo piano del Museo
Questa sezione ospita opere d’arte dei secoli XV-XVIII provenienti da chiese e istituzioni religiose, tra cui spiccano l’Adorazione dei Magi di Marco Cardisco e opere di Giuseppe Recco, Luca Giordano, Mattia Preti e Francesco Solimena.

Secondo piano del Museo
Le sale del secondo piano presentano opere dal XVIII al XX secolo, con un focus sulla pittura dell’Ottocento napoletano. Artisti come Gioacchino Toma e Michele Cammarano sono protagonisti con opere che raccontano episodi storici, paesaggi e scene di vita quotidiana.

Sala Carlo V e Novecento
A partire dal 2015, queste sale sono diventate parte del progetto “Mast” (Maschio Angioino Smart Tour), che combina storia e tecnologia, permettendo ai visitatori di ascoltare e interagire con le opere attraverso dispositivi smart.

Sala Loggia
Posizionata nella cortina orientale del Castello, la Sala Loggia ha subito diverse trasformazioni nel corso dei secoli. Oltre a offrire una vista mozzafiato sul molo Beverello, attualmente è utilizzata per la celebrazione di matrimoni civili e ospita vari eventi culturali. Per ulteriori informazioni sulle tariffe della Sala, è possibile consultare il sito ufficiale del comune di Napoli.

Oltre alle sopra citate, il Museo Civico include anche la Sala della Loggia e la Sala Carlo V, spazi dedicati a mostre temporanee e iniziative culturali, che testimoniano la vivace attività culturale e artistica dell’istituzione.

Biblioteca della Società napoletana di storia patria

Un vero gioiello per gli appassionati di storia! Questa biblioteca ospita testi rari e documenti che tracciano la storia di Napoli. Un luogo di scoperta e conoscenza.

Foto del Maschio Angioino

Nel corso degli anni, numerosi fotografi hanno immortalato il Maschio Angioino, catturando la sua evoluzione architettonica e il contesto storico in cui si trovava. Ecco una selezione delle immagini più significative:

  1. Castel Nuovo Maschio Angioino nevicata del 1956: Questa rara fotografia mostra il Maschio Angioino imbiancato da una soffice neve. L’evento meteorologico del 1956 rappresenta uno dei momenti più inusuali per Napoli, una città generalmente avvolta dal calore mediterraneo.
  2. Maschio Angioino primi decenni del XX secolo: Una particolarità architettonica emerge in questa immagine. Alla facciata laterale del castello, infatti, si nota una superfetazione settecentesca. Per chi non lo sapesse, la superfetazione architettonica si riferisce a un’aggiunta costruttiva effettuata successivamente rispetto alla struttura originaria di un edificio, con il risultato di modificarne l’assetto iniziale e di comprometterne l’estetica. In questo caso, la facciata occidentale del Castel Nuovo era stata “ampliata” da una ulteriore parete dotata di numerose finestre e corridoi di transito, per permettere diversi accessi indipendenti e una ripartizione diversa degli ambienti interni. Come detto, questa “cortina” architettonica è stata poi rimossa durante i restauri degli anni ’20 e ’30. Sebbene sia stata eliminata, le tracce della malta utilizzata per addossare le pareti alle torri sono ancora visibili.
  3. Piazza Municipio e Maschio Angioino 1950: Una veduta classica della Piazza Municipio con il Maschio Angioino in primo piano. Questa fotografia racchiude il sapore dell’Italia post-bellica, in un periodo di ricostruzione e rinascita.
  4. Piazza Municipio e Maschio Angioino vista dall’alto intorno al 1960: Un’immagine aerea che offre una prospettiva unica della Piazza Municipio e del Maschio Angioino. La disposizione urbanistica e le linee architettoniche del periodo sono chiaramente visibili, fornendo una preziosa testimonianza storica della Napoli degli anni ’60.

Queste fotografie sono un prezioso tuffo nel passato, mostrando non solo la grandezza architettonica del Maschio Angioino, ma anche la sua interazione con il contesto urbano nel corso del tempo.

Come prenotare una visita

Desideroso di tuffarti in questa avventura storica? Ottima scelta! Vai direttamente al sito ufficiale e prenota la tua visita. Oltre agli orari, troverai anche eventi speciali e mostre temporanee.

Come arrivare al Maschio Angioino

Il Maschio Angioino si trova in una posizione invidiabile, proprio nel centro di Napoli. Se arrivi dalla Stazione di Napoli Centrale, prendi la Metro L1 dalla fermata “Garibaldi” in direzione “Piscinola”. Dopo solo tre fermate, scendi a “Municipio”, e ti troverai praticamente di fronte al maestoso castello. Se arrivi in auto, ci sono diversi parcheggi nelle vicinanze, ma la metro rimane il modo più semplice e veloce per raggiungerlo. La sua presenza imponente sarà il primo indizio che sei arrivato nel posto giusto!

Anno scolastico 2023-2024 con cattedre vuote: la situazione delle supplenze

Mentre la campanella dell’anno scolastico 2023-2024 sta per suonare, ci troviamo a fare i conti con una vecchia conoscenza: le cattedre senza un docente titolare. Anche se le assunzioni e le nuove assegnazioni sono andate avanti a pieno ritmo, ci ritroviamo ancora a cercare supplenti. Giuseppe Valditara, il nostro Ministro dell’Istruzione, ci ha fornito alcuni numeri piuttosto preoccupanti.

Sembra che il settore dell’insegnamento di sostegno sia quello con la maggiore carenza. Ma, c’è una luce in fondo al tunnel! Le fonti del Ministero assicurano che grazie a procedure semplificate, avremo dei sostituti pronti in un paio di settimane, proprio in tempo per iniziare le lezioni. E anche se la Cisl Scuola ci ricorda che non siamo in una situazione molto diversa dagli anni passati (dove le nuove assunzioni coprivano appena la metà dei posti), possiamo contare sulle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS). Però, ci sono delle brutte notizie: molti concorsi non hanno dato i frutti sperati, soprattutto per i posti di sostegno.

E le grandi città? Beh, gli studenti potrebbero trovarsi a tornare in aule con cattedre ancora vuote, specialmente quelle di sostegno. C’è un barlume di speranza: un nuovo concorso è all’orizzonte. Con 35.000 posti disponibili, tutti stiamo aspettando con impazienza i dettagli dal Ministero.

Brandizzo: Il commovente video che precede l’incidente e le implicazioni legali

Ecco un momento davvero toccante e rivelatore: c’è un video, ora parte delle prove nell’indagine, girato da Kevin Laganà, un ragazzo di soli 22 anni e purtroppo una delle giovani vittime dell’incidente ferroviario di Brandizzo.

Il video è nitido e l’audio pure. Da ciò che si vede, si capisce che gli operai hanno iniziato il loro lavoro prima del passaggio dell’ultimo treno, il tutto senza l’approvazione ufficiale. Questo complica ulteriormente la situazione di Antonio Massa, dell’Rfi, e di Andrea Girardin Gibin, il capocantiere dell’impresa esterna. Nel frattempo, le persone che stanno indagando sulla questione hanno ascoltato una dipendente locale che avrebbe avvisato telefonicamente di non iniziare, e un ex-lavoratore ha rivelato che spesso i lavori venivano avviati solo con approvazione verbale.

In risposta a tutto ciò, Gianpiero Strisciuglio, il capo della Rete Ferroviaria, ha difeso l’integrità della sua compagnia durante un’audizione ufficiale, affermando che non hanno mai deviato dalle regole di sicurezza.

Castel dell’Ovo: tra storia e leggenda

Tra i simboli di Napoli, in una invidiabile posizione paesaggistica, grazie alla quale è visibile quasi da ogni angolo della città, si trova Castel dell’Ovo. Praticamente lo troviamo in ogni foto-cartolina-ricordo: sullo sfondo il Vesuvio e, appollaiato sull’isolotto di Megaride che ospita il famoso Borgo marinari, c’è il Castello. Nello stesso punto si incontrano uno passato leggendario, che attribuisce il nome all’uovo che Virgilio avrebbe tenuto nascosto in una gabbia posta nei sotterranei, a un presente importante per Napoli. Qui si trovano, infatti, circoli nautici e bar e ristoranti che ospitano turisti e cittadini tutto l’anno.

Se stai pianificando una visita e non sai da dove iniziare, non perdere la nostra guida sulle Tre cose da vedere a Napoli. Scoprirai i luoghi imperdibili che renderanno il tuo viaggio indimenticabile!

Castel dell’Ovo: una storia lunga secoli

Se si cercano testimonianze delle diverse dominazioni che hanno toccato Napoli a Castel dell’Ovo si incontrano tutte. Nel sottosuolo si trova la stanza delle colonne, probabili resti della villa di Lucio Licinio Lucullo dell’Impero Romano. Villa che in seguito si trasformò in un monastero Benedettino, prima e in un lazzaretto per i pellegrini provenienti dalla Terrasanta, poi.

Il Castel dell’Ovo nel 1128 circa comincia ad assumere la forma architettonica che conosciamo. Nel 1140, sotto i Normanni, si avviano i lavori di fortificazione e di ampliamento della struttura. Si deve a Federico II di Svevia la decisone di arne luogo con doppia destinazione: deposito del tesoro reale e prigione. Durante il periodo Angioino la famiglia reale si trasferisce qui.

Gli Aragonesi si dedicano, invece, alla cura dell’aspetto militare. Impegno che prosegue sotto il Regno Borbonico che, oltre a fortificare militarmente il Castello, vi installa una fabbrica di cristalli e di specchi. Ma, è durante il Regno d’Italia che la fortezza assume esclusivamente la funzione di avamposto militare con annessa prigione. Tant’è che, durante la Seconda Guerra Mondiale, è occupato da tutte le forse militari che si alternano nell’occupazione della città.

Castel dell’Ovo: leggende e miti

Tra le leggende, quella che piace di più ai napoletani c’è questa: la sirena Partenope, con le sorelle Ligea e Leucosia, fallisce nel tentativo di incantare Ulisse e si suicida qui per l’amore negato. Le onde la trasportano in corrispondenza del punto in cui si trova Castel dell’Ovo, dove la sirena si trasforma in isola, con il capo appoggiato a Oriente sulla collina di Capodimonte e la coda a Occidente, verso il promontorio di Posillipo.

Altra leggenda: del poeta Virgilio si dice che fosse stato anche un mago. Egli stesso avrebbe nascosto un uovo magico all’interno di una caraffa di vetro piena d’acqua a protezione del Castello e che una mareggiata senza uguali distrusse Castel dell’Ovo durante il Regno di Giovanna I perché il prigioniero Visconti scappando urtò l’uovo che si ruppe.

Castel dell’Ovo: da non perdere

  • Ramaglietto, molo orientato verso il mare;
  • Terrazza dei Cannoni, posta nella parte più alta e panoramica del castello, da visitare al tramonto;
  • Loggiato Ovest, terrazza rivolta in parte verso il mare, in parte verso la città;
  • Loggiato Est, ospita una parte della Chiesa di San Pietro e celle scavate nella roccia di tufo, imperdibile quella dedicata a Santa Patrizia.

Nella zona interna, le sale visitabili sono:

  • Sala delle Colonne, denominata così per la presenza di colonne risalenti alla villa di Lucio Licinio Lucullo;
  • Carcere della Regina Giovanna o Sala delle Prigioni, che custodisce tesori e documenti segreti;
  • Sala Italia è una delle sale più ampie, con uno splendido soffitto a volta;
  • Sala Sirena, scavata nella pietra di tufo;
  • Sala della Compagna, che si trova nella parte più alta del Castel dell’Ovo;
  • Saletta Megaride;
  • L’Antro di Virgilio, raggiungibile tramite cammino suggestivo nel castello.

Castel dell’Ovo: come arrivarci

Castel dell’Ovo dista appena 4 chilometri dalla Stazione centrale di Napoli ed è raggiungibile con la Linea 1 della metropolitana, con fermata a Toledo, oppure con bus Linea R2 e tram 1.

Mezzo secolo di Cinture di Sicurezza, angeli custodi di innumerevoli vite

L’ONU rende tributo al valore salvavita delle cinture di sicurezza, le quali hanno contribuito a un calo del 30% delle fatalità stradali dal 2000. La Commissione Economica per l’Europa dell’ONU stima un decremento del 15% delle vittime stradali sia nel decennio 2000-2010 che nel 2010-2019. Nonostante ciò, l’uso delle cinture non è ancora obbligatorio in numerosi paesi, con 1,35 milioni di vite perdute sulle strade ogni anno, il 93% delle quali nei paesi in via di sviluppo.

In Italia, il mandato per le cinture di sicurezza è introdotto nel 1976, con ogni nuova auto obbligata ad essere equipaggiata con gli attacchi per le cinture. Con la legge 111/1988, l’uso delle cinture sui sedili anteriori diventa obbligatorio, con sanzioni pecuniarie per chi non rispetta la norma. Con l’introduzione della “patente a punti” nel 2003, le sanzioni comprendono anche la decurtazione di 5 punti. Nel 2006, si estende l’obbligo di utilizzo delle cinture ai sedili posteriori.

Facciamo un passo indietro. La Francia è il primo paese europeo a rendere obbligatorie le cinture nel 1973, seguita da Spagna nel 1974, e dai Paesi Bassi, Norvegia e Svezia nel 1975. Fuori dall’Europa, nel 1984 lo Stato di New York si unisce al club, seguito dalla Federazione Russa nel 1987 e dalla Cina nel 1993. Il merito di tutto ciò va all’ingegnere aeronautico svedese Nils Bohlin e alla Volvo, un gigante dell’industria automobilistica europea. Dopo anni di ricerche, nel 1958, Bohlin realizza la prima cintura di sicurezza a tre punti e, in un atto di generosità, il brevetto viene liberamente concesso alle altre case automobilistiche.

Una piccola nota di curiosità. I primi brevetti per cinture di sicurezza risalgono alla fine dell’Ottocento. Tuttavia, è solo intorno agli anni ’30 del Novecento, grazie alla spinta di un gruppo di medici americani che richiedono l’installazione di cinture su tutti i veicoli, che la questione torna all’attenzione del pubblico. Un altro fatto interessante: la Volvo inizia a montare di serie le cinture di sicurezza sul modello PV544, prodotto a partire dal 1959. Dal 1963, tutte le auto in produzione dalla Volvo sono dotate di cinture di sicurezza.

Smart Working, si profila l’addio? Non per tutti

Siamo al capolinea per lo smart working in Italia? Non propriamente, poiché è nato dall’impellenza della pandemia, più che dalla visione di un futuro lavorativo differente. Tuttavia, non si tratta di una chiusura totale. Sembra infatti che ci sia una tendenza da parte del governo a mantenere l’opzione dello smart working solo per coloro che sono considerati “fragili”. Questo potrebbe lasciare fuori dalla possibilità di lavoro da remoto i genitori con figli di età inferiore ai 14 anni.

Anche se non abbiamo ancora una conferma ufficiale, sembra che dal 1° luglio lo smart working sarà riservato esclusivamente ai lavoratori con gravi problemi di salute. L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano calcola che attualmente i lavoratori da remoto sono circa 3,6 milioni, un calo di mezzo milione rispetto all’anno scorso.

Questo gruppo rappresenta quasi il 15% dell’intera forza lavoro. Attualmente, tra quelli che usufruiscono del lavoro da remoto troviamo i lavoratori fragili, sia nel settore pubblico che privato, e i dipendenti del settore privato con figli minori di 14 anni, purché l’altro genitore non sia destinatario di sussidi al reddito o non lavori.

Oltre alla questione politica, c’è il problema dei costi. Per rifinanziare il lavoro agile servirebbero una trentina di milioni di euro, secondo i calcoli della Ragioneria. Ad esempio, per ogni insegnante “fragile” che lavora da casa, è necessario un supplente in classe, quindi lo Stato finirebbe per pagare due stipendi. Paolo Zangrillo, Ministro della Pubblica amministrazione, ha espresso la speranza che non venga meno l’attenzione verso i lavoratori fragili.

Come dichiarato sul sito del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, a partire dal 1° febbraio 2023 tutte le comunicazioni devono essere inviate soltanto tramite l’applicativo disponibile su Servizi Lavoro, chiamato Lavoro Agile. Tuttavia, le comunicazioni relative ai lavoratori “fragili” e ai lavoratori con figli di età inferiore ai 14 anni possono essere inoltrate senza l’accordo individuale allegato fino al 30 giugno 2023.

Rischio idrogeologico e frana di Casamicciola, dal monte Epomeo morte e distruzione

Il 26 novembre dello scorso anno la frana di Casamicciola, a Ischia, ha causato morte e distruzione. Un evento che ancora una volta evidenzia la fragilità di alcune zone dell’Italia. Aree particolarmente vulnerabili ai fenomeni di dissesto idrogeologico. Il nostro Paese è tra i più colpiti in Europa dai fenomeni franosi. Si stima che il 70% delle frane che riguardano il continente sono italiane.

In questo articolo cerchiamo di fare luce sulle cause e sulle conseguenze del rischio idrogeologico in Italia. Cercando risposte su come si può fare prevenzione e come si possono gestire eventi così gravi per proteggere le comunità e l’ambiente.

Cos’è il rischio idrogeologico

Rientra nel rischio idrogeologico la percentuale alta di probabilità che in una determinata zona si possano verificare, anche con una certa frequenza nel tempo, eventi meteorologici o idrologici . Ci si riferisce a alluvioni, frane, esondazioni, mareggiate. Fenomeni vasti che provocano morte e distruzione. Il rischio è strettamente collegato alle caratteristiche del territorio e comprende la vulnerabilità delle popolazioni e le eventuali misure di prevenzione e mitigazione da adottare.

Quali sono i fattori del rischio idrogeologico?

Tra i fattori naturali ci sono sicuramente le caratteristiche del territorio. La presenza di fiumi, torrenti, laghi o mari; così come la composizione del suolo, la pendenza del terreno, la presenza di frane o dissesti idrogeologici sono i principali. Anche il clima va preso in considerazione, poiché la quantità di precipitazioni, nonché la loro intensità e la loro distribuzione nel tempo incide tantissimo.

Gli eventi meteorologici estremi, come le tempeste, le ondate di calore, i tifoni o gli uragani sono tra i fenomeni legati alla crisi climatica e, una volta rari, oggi sempre più frequenti. A quanto detto finora, aggiungiamo l’urbanizzazione incontrollata e la cementificazione del territorio in grado di alterare il sistema idrogeologico e a favorire l’insorgenza di eventi alluvionali. Anche la manutenzione insufficiente o inadeguata a argini, dighe e ponti possono essere all’origine di tragiche conseguenze. Non ultimi lo sfruttamento  incontrollato del suolo, l’abbandono delle terre, la deforestazione, l’intensificazione agricola e  l’inquinamento delle acque aumentano a dismisura il rischio. Così come la mancata sensibilizzazione della popolazione sui rischi e sui comportamenti da adottare in caso di emergenza.

La mappa del rischio frane in Italia, realizzato dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, individua le zone a maggior rischio di frana in base alla loro vulnerabilità geologica, idrogeologica e antropica.

In Italia circa il 14% del territorio è a rischio frane, con circa 5 milioni di persone che vivono in queste zone. In particolare, le regioni più a rischio sono: la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, la Sardegna.